Don Marcello De Grandi
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ELENO VERGILI, cioè DON MARCELLO DE GRANDI.

 

I De Grandi che sono sulla guida del telefono  di tutta la  Lombardia, discendono dalla frazione di Mondonico, comune di Valganna, nell’alto varesotto. Anzi, vi sono nati anche i “Grandi”, come quel Giuseppe che, scultore scapigliato, ha fuso il monumento delle Cinque giornate a Milano, nel 1880. Difatti i registri di battesimo della parrocchia di Valganna, fino al 1900 circa, portano solo il cognome “Grandi”. Come si sia poi aggiuno quel “De” supponente e vanitoso, non saprei dirvi. A me (l’affermazione è di Gottfried Keller, uno scrittore svizzero) basta prendere in mano la punta del naso, per essere certo di avere tanti antenati alle spalle, quanti ne occorrono per risalire fino ad Adamo ed Eva. Pel resto, son più preoccupato di salvare la mia anima e di dar valore alla mia vita, soprattutto con la ricerca della verità, sia in  sede religiosa e morale, sia in ogni dominio del sapere umanistico, dalla psicologia alla filosofia, con particolare riguardo alla letteratura ed alle sue premesse filosofiche, che sono l’estetica (teoria dell’arte in generale) e la teoria della critica e della storia letteraria.

            Quest’ultimo hobby mi viene certamente dalla linea paterna, giacchè non solo il papà, ma anche altri parenti ho ritrovati con gli stessi gusti, punti di vista e  inclinazioni psicologiche: con un interesse intellettuale concentrato sull’uomo, la sua costituzione, i suoi doveri morali, le sue vicende storiche... Papà era anche un gran narratore: sia che riferisse la trama di un’opera teatrale (ne aveva fatto una scorpacciata nel primo decennio del secolo,  chiedendo di  essere assunto come aiuto di palcoscenico in un teatro di Milano) sia narrasse le vicende delle due guerre cui aveva preso parte (la guerra di Libia e la prima mondiale). I figli dei commilitoni, con cui si ritrovava spesso, mi hanno assicurato che, senza bisogno di nessuna lettura “epica”, essi avevano imparato da mio padre le imprese grandiose e  le vicende comiche della vita e della storia.  Mia madre  era donna più semplice e concreta: ma di una discrezione e buon senso... che le invidio! Mio padre diresse (dal 1922 al 1947 circa) una fabbrica di metri (FIML: misure lineari), a Milano. Il padrone prevenne i bombardamenti, vendendo ad altri, che portarono la ditta nel Cremasco. L’educazione era affidata, allora, alla madre più del solito. Ma neppure a lei, cristiana esemplare ma poco comunicativa, posso dire di dovere la mia vocazione sacerdotale. Lei  aveva un senso troppo autentico (soprannaturale) della chiamata del Signore, per cui non si sarebbe mai permessa una sollecitazione; ed io, prima ancora di andare alla scuola materna, uscii fuori a dire che volevo farmi sacerdote: e più di una volta. Smisi di dirlo, quando mi accorsi che qualcuno sorrideva: e sfido! Non avevo ancora tre anni: era una bella pretesa. Credo che sorridesse anche mia amdre! Non ho mai cambiato parere: non lo cambierei, con la Grazia di Dio, neppure se nascessi cento volte.

            Ma che pose ostacoli fu il papà. Per la famiglia, lui viveva. E sarebbe stato capace di educare un plotone di figli senza difficoltà nè tirannie, come invece aveva difficoltà a comandare agli estranei. Sul lavoro le quaranta donne ed i due tecnici lo seguivano, per lo stesso motivo per cui i soldati del plotone, in guerra, ubbidivano: aveva un senso non solo della giustizia, ma della equità che erano scrupolosi.  Il primo al dovere era lui; nel distribuire i compiti, aveva una giustizia pignola, per cui nè prepotenti nè furbastri potevano farsi privilegiare. Anche la ferita sul monte Tomba, subito dopo Caporetto, se l’era buscata per una fedeltà adamantina alla sua responsabilità: contro i precisi ordini, un soldato era uscito dalla trincea appena scavata: gli austriaci stavano bombardando ogni metro della montagna ed una scheggia lo aveva ferito gravemente. Con due barellieri, il sergente uscì a soccorrerlo: una nuova cannonata uccise l’imprudente già ferito, colpì uno dei due barellieri, ferì anche il papà sotto il ginocchio sinistro. Provvidenza, però: era una di quelle ferite che, in quei giorni di panico, ogni soldato si augurava: abbastanza per non rimanere; non grave da costituire un pericolo mortale. Lo spedirono a Roma; fece a tempo a rientrare, addetto alla contraerea: ma ormai la guerra volgeva al termine. Si sposò a 32 anni: tardi per quei tempi. Si stabilì a Venegono Speriore, nel basso Varesotto, dove si era sposata la sorella maggiore. La casa di Mondonico in Valganna era ormai vuota( la sorella maggiore aveva fatto da mamma: a sette anni, mio padre era orfano, stroncati entrambi i genitori da polmonite. Di figli ne ebbe solo due: e la figlia, la maggiore, aveva già espresso il proposito di farsi suora. Mi costrinse ad aspettare dopo il ginnasio per entrare in seminario. Il coadiutore giunto in parrocchia in quegli anni risolse la questione, additando il collegio di Valdocco, la cas amadre dei Salesiani di don Bosco, come luogo dove essere sicuri di un'e’ucazione cristiana e, quindi, favorevole alla vocazione, anche se non vi era nessuna pressione (neppure occulta) in proposito. Fu un bene, perchè conobbi un altro aspetto della vita cattolica. quella dei religiosi, con la loro vita di comunità, i loro voti di pvertà ed ubbidienza oltre a quello di castità e il loro apostolato “specifico e specializzato, settoriale ma approfondito”.

Entrai nel seminario di Milano, a Venegono,  Forsequi è da cercarsi il primo invito alla mia vocazione. Nel 1929, l’anno che io nascevo, erano iniziati i lavori per la costruzione del monumentale seminario dedicato a Pio XII, papa milanese oriundo di Desio. Non ho precisi ricordi che ne abbia sentito parlare: ma forse alla mente dei miei primissimi anni parlavano le pietre di quell’edificio straordinario, che andava crescendo ad appena un chilometro da casa mia, visibile   dal ballatoio  che conduceva alla stanza da letto. Ordinato sacerdote dal beato card. Schuster nel 1951, dapprima trovai la  pacifica unione delle due vocazioni, al sacerdozio ed all’insegnamento, nei seminari o nei collegi della diocesi. Fu il Sessantotto a convincermi, nel giro di un decennio, a prendere la via della parrocchia. Erano cambiati i tempi e gli studenti  tendevano a seguire  l’insegnante che o fosse anche un leader e li trascinasse (quasi “domatore di bestie feroci”) o fosse un seguace delle mode imperanti e si rassegnasse a fare il “professore di salti mortali” (chiedo venia per le due definizioni: sono di Carducci). Ma io riuscivo ad agire solo in un ambiente ove la verità trovasse accoglienza senza bisgono di carismi manageriali; e non ero il tipo da “adeguarmi” alle opinioni che la mia mente, senza esitazione, mi indicava come errate, senza rimedio.

Dal 1982 sono parroco a San Mamete di Valsolda: di cui conoscete la chiesa e un poco anche la storia. C’è stato qualche problema di adattamento, passando dalla cattedra al pulpito. Ma fu questione di qualche mese soltanto, perchè l’esercizio del ministero sacerdotale, dalla predicazione al confessionale all’oratorio, aveva accompagnato ogni domenica e festività  anche durante l’attività di insegnamento..  Si tratta, d’altronde, di una piccola parrocchia che va  decrescendo come popolazione, perchè il piano regolatore non prevede la possibilità di nuove costruzioni (le case  esistenti sono state edificate scavando nella roccia dela montagna); le vecchie case sono abitate da popolazione per lo più anziana e  varie abitazioni appartengono a persone che, nate qui,  vivono a Milano od a Lecco  e tornano solo per la villeggiature estiva. Così ho potuto proseguire la riflessione sia sulla teologia che sulla letteratura. Dopo la tesi di laurea su“Benedetto Croce e il seicento  (Milano, Marzorati, 1962), ho pubblicato  il saggio “Musica in parole” (Varese, 1983): se la tesi di laurea mi aveva costretto a rinnegare le posizioni esteto-critiche di Croce, “Musica in parole” ha rappresentato la doverosa parte costruttiva: rifiutando  le proposte dell’idealismo crociano, che cosa proponevo io per rispondere alle domande della stessa  problematica: “che cosa è l’arte tutta e la letteratura in particolare? come si conduce una critica artistico-letteraria? quali sono i capitoli obbligatori di una storia artistico-letteraria?”. La novità dello studio sta  nella indicazione delle  operazioni cerebrali che entrerebbero in azione nel processo di espressione lirica od artistica. Che è una maniera finalmente  realistica di affrontare il problema estetico: a livello meurologico! Qualcuno ha gridato allo scandalo, quasi si trattasse di una impostazione materialistica. Ma io ho ricercato le  condizioni fisiologiche della invenzione artistica: che ovviamente non si può ridurre a quelle sole. Tanto è vero che  Musica in parole insegna a distinguere l’emozione (che abbiamo in comune con gli animali) dai sentimenti, che sono attività unicamente umana.  L’operazione artistica  decanta il sentimento da ogni finalismo pratico e  manifesta l’emozione nella sua elementare forza nativa, ma non attraverso il grido o la mimica animale, ma attraverso la parola o il disegno o il canto o l’agire umano. Per far questo occorre una facoltà totalmente al di sopra della animalità: solo uno spirito può tradurre in segni razionali un fenomeno animale come le emozioni.

Più in generale, il libro dimostra una mia antica convinzione: la psicologia (appoggiata alla        neurobiologia, come punto di partenza) è la “bretella” di congiunzione  la ricerca strettamente scientifica  e gli interessi globalmente umanistici. Vi sono bensì “due culture” (tecnico-scientifica ed umanistica) ma esse sono solo distinte, non separate: il punto di  sutura è la neurobiologia anatomica e fisiologica,  da cui la filosofia  deduce la psicologia, che introduce al problema antropologico (chi è l’uomo?), morale (quale è il bene?), filosofico in genere (che cosa è l’essere), storico (che cosa è veramente avvenuto? ed artistico (letterario in specie: che cos’è il bello prodotto dall’uomo, cioè l’arte, la poesia, la letteratura?).

Oh! si badi:Le prime venti pagine del volume (introvabile ormai in commercio: è scomparsa persino la casa editrice...) sono occupate da qualche centinaio di versi: peccati di gioventù?

 Nel frattempo due gestori di Radiotelevisioni locali mi han pregato di tenere un programma religioso settimanale sulla loro antenna: lo feci per  alcuni anni, finchè la imposizione della strepitosa tassa annuale sul possesso di una trasmittente TV non scompigliò i disegni degli amici.

 La preparazione di quelle trasmissioni mi costrinse a schematizzare in forma chiara e sintetica  alcuni capitoli di dottrina cristiana che mi soddisfacevano anche nella forma tradizionale, per renderne più facile la comprensione; ed a riscriverne altri da capo, perchè fossero convincenti per me prima che per gli ascoltatori. Poco a poco stavo  rivedendo (si scriveva ancora a macchina, negli anni Ottanta!)   le ragioni della esistenza di Dio e della Sua Provvidenza; i fattori della distinzione tra religione naturale, cristianesimo, cattolicesimo; qualche capitolo importante di dognatica, come quello sulla Eucaristia; la prova della spiritualità ed immortalità dell’anima come fondamento della Legge morale (con tutti i problemi sollevati dall’evoluzionismo e dalla etologia),  i capitoli classici della scienza morale stessa (libertà, legge, coscienza, responsabilità, peccato e virtù) e alcuni dei capisaldi della morale specifica (che cosa è l’amore; quale il sistema politico ed i suoi compiti? qual è l’impostazione morale della sociologia economica? La necessità della Preghiera). Molte di queste riflessioni apparvero in due volumi dal titolo “Ragione Religione Morale” (NED, 1989 e 1990: ancora disponibili presso  l’autore).

Era ormai tempo di dare ordine definitivo alle molte note solo in parte organizzate delle lezioni sulla Letteratura italiana, di cui mi interessai il più profondamente possibile durante l’insegnamento. E’ quello che stiamo facendo con questi “Appunti per una Storia della Letteratura italiana”: più estesi i singoli capitoli di quanto richiesto dal programma delle scuole superiori,  per poter offrire esemplificazioni ampie a documento delle idee proposte. Con una avvedutezza, che ogni studente ha innata, si potranno operare quei tagli o sunti che rendono le pagini utile anche per una preparazione alle lezioni ed esami. Buon divertimento, allora!

 

 

                    ELENO VERGILI: CHI è MAI COSTUI?

 

Ecco la scheda anagrafica.

E’ nato a Venegono Superiore il 7 maggio 1929.

1940-44: studi ginnasiali presso i Salesiani, alla casa madre di Don Bosco:Torino, Valdocco.

1944-51: liceo e teologia nel seminario milanese posto in Venegono Inferiore, ad un chilometro dalla sua casa.

1951-56: insegna nei seminari di Milano, mentre frequenta la facoltà di lettere alla Università Cattolica (laurea nel 1958).

1956-78: insegna nei corsi superiori in diversi istituti della diocesi, dalla ragioneria di Porlezza (Como) al liceo classico dello Zaccaria a Milano.

1982: parroco in San Mamete di Valsolda, sul lago di Lugano (Ceresio), al confine con la Svizzera.

           

            Ed ecco  la scheda bibliografica (i libri in corpo 16)

1962: L’evoluzione spirituale di P. Virgilio Marone, in La Scuola cattolica, Venegono Inferiore, Va, maggio-giugno.      

1962: Benedetto Croce e il Seicento (Milano, Marzorati).

1966: Coordinate estetico-critiche crociane, in Letture, Milano, n. 10 (ottobre).

1983: Musica in parole (Varese, Libreria S. Vittore editrice).

1989 e 1990: Ragione Religione Morale (2 volumi; Milano, N.E.D.)

1995: Frugando tra i versi di Riccardo Bacchelli , in Cenobio, Lugano, XLIV, ottobre-dicembre, pp.455-474)

1997: Don Lisander alla griglia,  ne Il Cantonetto, Lugano, agosto, pp. 8-13

1999: Appunti per una Storia della Letteratura italiana ( in E-mail, su www.gelmini.com/degrandi )

 

05/11/99Ultima modifica il .
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