La Chiesa Parrocchiale di San Mamete
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DATI STORICI ED ARTISTICI SULLA
CHIESA PARROCCHIALE DEI SS. MAMETE E AGAPITO IN VALSOLDA.
Ve
n’era una più piccola prima del Mille: nei secoli dell’arte romanica, fu
costruita
l’attuale, con facciata a capanna, campanile massiccio ma lievitato dalle
archeggiature cieche che si rincorrono di piano in piano e dalle feritoie che si
vanno allargando fino a sfociare nella cella campanaria. Tutti ci si ferma a
guardare in su, per vagheggiare l’armonia che
si sprigiona dall’equilibrio tra la imponenza della mole massiccia e quel
tanto di leggerezza e dinamismo che sono
comunicati dagli archi ciechi e sospesi (senza pilastri nè colonne) e l’aprirsi
delle spaccature nel muro, a distanza regolare, ad ampiezza sempre crescente.
Siamo inconfondibilmente nel secolo XII. Ma, ahimè!, la facciata e la struttura
complessiva della chiesa risultano poi una delusione. Erano opera romanica:
facciata a capanna, unica navata, parete di fondo rettilinea, nessun
altare laterale. Ma il fastigio della facciata fu poi innalzato (per non
sfigurare di fronte al campanile risultato sproporzionatamente imponente?); il
campanile fu unito tettonicamente alla chiesa per funzionalità pratiche
(rendere accessibile il vano a pianterreno per il suono delle campane e la
regolazione dell’orologio, anche in caso di pioggia); al campanile, in pietra
calcarea locale, fu imposto dagli architetti barocchi un coronamento a cono in
mattoni (“ein Zauberhut”, cioè un cappello da mago: l’espressione è
nientemeno che di Franz Kafka, che lo poté contemplare dal lago Ceresio in una
sua scampagnata sul lago di
Lugano).
Ma,
se entriamo dentro la chiesa, al di là del “pronao” (portichetto davanti al
portale d’ingresso), allora le “deformazioni barocche” possono essere
criticate nei dettagli, ma non nella impressione d’insieme: al di sopra di uno
zoccolo di un metro e mezzo, non vi è un decimetro quadrato della struttura che
non sia od affrescata o ricoperta da quadri ad olio, dipinti sulla misura dello
spazio da riempire. E la luce misurata che piove dalle finestre quadre (pardon!
il lato superiore è ad arco ribbassatissimo, cioè “scemo”) impedisce che
sorga l’impressione del museo e costringe invece a pensare alla “chiesa”.
Una chiesa ideata romanticamente, trasformata poi e decorata baroccamente.
Dove però il raccoglimento è congeniale e, l’invito alla preghiera, ovvio.
La
decorazione iniziò dal dipinto sull’altare che era appoggiato direttamente
sulla parete di fondo: sopra esiste ancora un affresco tardo gotico (circa il
1390), che è la pittura più bella della chiesa: la Madonna tiene dritto
sulle ginocchia Gesù fanciullo, che benedice il patrono principe, da cui la
frazione di Valsolda ha preso il nome: San Mamete (questi, martire della
Cappadocia nell’odierna Turchia, è in lunga veste
di tipo bizantino, a pieghe). La dolcezza idillica, benevola e
pacificatrice delle figure è sorprendente. Manca invece ogni senso della
prospettiva: neppure il trono su cui siede Maria santissima riesce a creare
spazio e plasticità.
Il
Cinquecento e la prima metà del Seicento videro i maggiori interventi, sia
murari che decorativi. Quando San Carlo venne per la prima visita pastorale
(1570) vi erano già altari laterali, fra cui uno dedicato alla Immacolata, che
egli volle riordinato e reso degno (od era questo un modo per cercare di
cambiare la titolarità dell’altare stesso- il primo a destra vicino all’altare
maggiore- perché il santo era “macolatista” e non “immacolatista”?).
Comunque oggi gli altari laterali
sono quattro: di fronte alla Immacolata in statua moderna, ma con pareti e volta
affrescati nel Seicento), sta l’altare della Deposizione (o di S. Pietro
martire) con la pala ad olio ed il resto affrescato; a destra, in fondo alla
chiesa, sta lo Sposalizio della Vergine con S. Giuseppe (quadro ad olio:
affreschi su tutte le pareti e la volta); di fronte, vi è l’altare dell’Angelo
custode (affrescato tutto l’altare). Il Concilio di Trento apportò anche un’altra
struttura: il dorsale dell’altare maggiore, staccato dalla parete di fondo e
costruito come trono per la esposizione del SS. sacramento (Corpus Domini e
sante Quarantore), con un tempietto in miniatura al centro sopra il tabernacolo
e lo spazio ai lati per posizionarvi candele e fiori. Vi sono pure le statue dei
due santi protettori in atto di adorazione.
Dei
dipinti della chiesa, ci pare meritino una parola anche alcuni altri. Si è
detto dell’inabilità del pittore del mirabile affresco gotico a rendere la
illusione della terza dimensione e della prospettiva: subito sopra tale
affresco, uno a destra ed uno a sinistra, stanno i due profeti Geremia ed Isaia.
In color ocra, l’uno piangente sulle rovine di Gerusalemme, l’altro
serenamente additante l’avvento del Messia liberatore, essi
sono
un capolavoro della tecnica prospettica: sembrano statue. Entrambi situati in
finte nicchie, in esse sembrano o troneggiare imponenti (Geremia) o addirittura
da esse sporgersi verso l’osservatore (Isaia). Sicura è stata la mano che
presenta figure plastiche eppure morbide: Ma esse non convincono nella espressione dei loro sentimenti pur lasciati
pesantemente intendere. Geremia, benché si asciughi le lagrime con un
fazzoletto, non commuove affatto; Isaia è così sereno nel volto... che non
esprime nulla. I sentimenti si indovinano dalla lettura della Bibbia e dai
gesti: ma non diventano emozioni che si trasmettano al fruitore, il quale rimane uno spettatore ammirato dell’abilità
tecnica, ma non diviene mai un “contemplatore o vagheggiatore” che si perda
nel rapimento degli stati d’animo espressi. I barocchi si credevano uguali a
Michelangelo perchè ne conoscevano a perfezione la tecnica prospettica: non s’accorgevano
che mancava loro l’unica cosa che, prospettiva o no, costituisce l’opera d’arte